Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge porta la maggiore età al compimento dei sedici anni, modificando la disposizione del codice civile che attualmente la fissa al raggiungimento dei diciotto anni. La maggiore età fa acquistare ai cittadini quella che il codice civile chiama «capacità di agire» e li rende elettori, secondo l'espressione usata dall'articolo 48 della Costituzione.
      Con l'acquisto della capacità di agire i cittadini sono in grado di compiere da sé tutti gli atti che riguardano la propria sfera giuridica per i quali la legge non stabilisce un'età diversa. Infatti, già oggi sono previsti casi nei quali la capacità di agire, parzialmente o eccezionalmente, si può acquistare prima del compimento dei diciotto anni, proprio a sedici anni. Un'età diversa è stabilita, infatti, per il matrimonio e le convenzioni matrimoniali, per il riconoscimento e la legittimazione dei figli naturali, per l'ottenimento della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale, per l'emancipazione di diritto, per la donazione, per la capacità

 

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del rappresentante, per il diritto d'autore, per la capacità a prestare il proprio lavoro.
      Negli ultimi anni in molti Paesi il dibattito sull'estensione del diritto di voto agli infra-diciottenni è andato approfondendosi portando alcuni di essi a compiere questa importante scelta politica. In Europa ciò è avvenuto in Austria, dove vi ha provveduto il cancelliere Alfred Gusenbauer, nell'Isola di Man e in quella di Jersey, mentre in Germania si è esteso ai sedicenni il diritto di voto per le elezioni comunali. In molti Paesi extraeuropei i sedicenni godono del diritto di voto: in un grande Paese come il Brasile, a Cuba e in Nicaragua, solo per citarne alcuni; mentre in Corea del Nord, Indonesia, Seychelles e Sudan il diritto di voto è riconosciuto ai diciasettenni.
      In altri Paesi, invece, il dibattito sociale e politico è stato molto approfondito. Per fare solo un esempio si pensi al Regno Unito, dove Governo e partiti considerano seriamente l'estensione del diritto di voto ai sedicenni quale scelta cruciale per la democrazia. Il partito dei democratico-liberali, nel luglio 2007, ha presentato uno studio dal titolo «Real democracy for Britain», nel quale sono state individuate venti proposte per rafforzare la democrazia e una di queste è l'abbassamento dell'età dell'elettorato attivo a sedici anni (il testo dello studio è disponibile al seguente link: www.libdems.org.uk/media/documents/parliament/Real%20Democracy%20for%20Britain1.pdf). La Commissione elettorale nazionale inglese, organismo istituzionale, già nel 2001 e poi nel 2003, ha condotto importanti indagini per la revisione dell'età dell'elettorato attivo, anche su richiesta di molte organizzazioni, tra le quali spiccano quelle raccolte nella «Sixteen coalition», associazione impegnata in un lavoro di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e in una attività di lobby sui partiti e sui deputati. I lavori della Commissione intendevano indagare innanzitutto le ragioni del ridotto esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini tra i diciotto e i ventiquattro anni, dal momento che poco più del 40 per cento di loro aveva partecipato alle elezioni politiche del 2001. Le indagini hanno individuato precise responsabilità della classe politica inglese, che sarebbe incline a mantenere distanti e poco coinvolti le giovani generazioni nei processi politici e di partito. Nelle sue conclusioni la Commissione si è espressa a favore del mantenimento a diciotto anni del diritto di voto, ma ha deciso di fissare una nuova indagine formale entro cinque/sette anni per verificare la possibilità di portarlo a sedici anni, avendo riconosciuto che le giovani generazioni hanno una consapevolezza sociale e una responsabilità che non consentono di sostenere in maniera preconcetta la loro esclusione dall'esercizio di tale diritto (il testo è disponibile al seguente link: www.electoralcommission.org.uk/files/dms/AgeofelectoralmajorityFinal _12974-9415_E_N_S_W_.pdf). Grande enfasi è data, per esempio, all'ultima riforma del sistema educativo scolastico che ha introdotto nel curriculum degli studenti inglesi l'educazione alla cittadinanza, volta a fornire ai giovani, fin dai primi anni di scuola, gli strumenti per raggiungere ed esercitare una cittadinanza attiva. Il nuovo Primo Ministro Gordon Brown, a pochi giorni dal suo insediamento, il 3 luglio 2007, affermava alla Camera dei Comuni, nel suo intervento sulle riforme costituzionali da compiersi: «(...) noi dobbiamo dare nuova vita all'idea sostanziale di cittadinanza. Tutti in questa Camera dovremmo essere consapevoli che ci sono sfide che dobbiamo affrontare per coinvolgere le giovani generazioni ed aumentare l'educazione alla cittadinanza. Spero nel sostegno di tutti i partiti per l'istituzione di una commissione che prepari una revisione dell'educazione alla cittadinanza e faccia raccomandazioni. Sebbene l'età per esercitare il diritto di voto sia diciotto anni sin dal 1969, è giusto che, come parte del dibattito, si esamini, e si ascoltino gli stessi giovani, se l'abbassamento dell'età aumenterebbe la partecipazione» (il testo integrale è disponibile al seguente link: www.publications.parliament.uk/pa/cm200607/cmhansrd/cm070703/debtext/70703-0004.htm). Per perseguire questo obiettivo il Governo ha pubblicato il Libro verde «The Governance of Britain», che prevede la costituzione di una Commissione sulla cittadinanza dei giovani
 

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(www.official-documents.gov.uk/document/cm71/7170/7170.pdf).
      Il dibattito in Italia è presente nelle discussioni politiche, ma non ha ancora raggiunto la forza e l'approfondimento che ha ricevuto altrove. L'indagine dell'Osservatorio sui diritti dei minori di Milano, condotta tra i giovani che hanno compiuto sedici anni, ha evidenziato come quasi tre su quattro dei ragazzi intervistati sarebbero contenti di poter votare, mentre l'indagine condotta dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sugli «Aspetti della vita quotidiana», rileva che i disinformati e i disinteressati della politica sono meno della metà dei giovani tra i sedici e i diciassette anni.
      Nel nostro Paese un allargamento a favore del voto dei giovani c'è stato con la legge 8 marzo 1975, n. 39, che ha portato la maggiore età da ventuno a diciotto anni, determinando l'estensione della base dell'elettorato attivo alla Camera dei deputati e di quello passivo alle elezioni amministrative.
      Un breve excursus storico-politico sul diritto di voto in Italia può mostrare l'evoluzione di questo fondamentale diritto politico che nel corso del secolo scorso è andato estendendosi mano a mano. Dapprima la legge elettorale di Giovanni Giolitti del 1912 introdusse il suffragio universale maschile, prevedendo la possibilità di votare per tutti gli uomini capaci di leggere e scrivere che avessero compiuto venti anni, mentre gli analfabeti potevano votare a partire dai trent'anni. Nel 1918 la legge fu modificata abolendo la distinzione per gli analfabeti ed estendendo il diritto di voto a tutti i cittadini maschi di almeno venti anni di età. Nel 1946, infine, si affermò il suffragio universale per uomini e donne che avevano compiuto la maggiore età, allora fissata a ventuno anni. Il suffragio universale fu applicato per la prima volta nelle ormai celeberrime elezioni del giugno 1946, in cui si venne chiamati a scegliere tra la monarchia e la repubblica e a eleggere l'Assemblea costituente. Da ultima si è avuta la riforma della citata legge n. 39 del 1975. Tuttavia negli oltre trent'anni trascorsi dalla sua entrata in vigore, l'Italia ha vissuto profonde trasformazioni sociali, culturali, demografiche e generazionali, che hanno rapidamente reso inadeguata anche questa legge.
      Le trasformazioni demografiche, attraverso le statistiche diffuse dall'ISTAT, fanno osservare che in Italia al 1o gennaio 2006 c'erano 1.170.008 cittadini di età compresa tra i sedici e i diciasette anni; di cui 601.707 maschi e 568.301 femmine. Quest'ampia fascia di popolazione oggi non può partecipare direttamente alla vita politica del Paese attraverso l'esercizio del diritto di voto, con una serie di conseguenze non sottovalutabili, specie se si considerano alcuni dati: in Italia ci sono almeno 15 milioni di cittadini ultrasessantenni, di cui oltre 8 milioni ultrasettantenni e ben oltre il 5 per cento della popolazione totale è ultraottantenne. Attualmente la spesa sociale italiana è in Europa una tra le più sbilanciate a favore delle generazioni più anziane.
      Oltre i due terzi di tale spesa sono destinati alle pensioni di anzianità e di invalidità, mentre nettamente inferiore, rispetto alla media europea, è la quota destinata alla casa, alla disoccupazione e all'esclusione sociale. Le difficoltà a mettere in campo gli ammortizzatori sociali contro la precarietà, a intaccare i privilegi acquisiti per dare spazio alle forze più dinamiche, a costruire un sistema previdenziale più equo dal punto di vista generazionale, sono tutti esempi che testimoniano quanto la politica italiana stia investendo poco nel ridurre i rischi e nell'aumentare le opportunità per le giovani generazioni. A fronte di questi dati politici e numeri demografici è evidente che le istanze dei giovani non ricevono un'adeguata attenzione ad ogni livello della vita politica e sociale del Paese, in mancanza di una rappresentanza diretta esprimibile attraverso l'esercizio del diritto di voto e dell'elettorato passivo. Le politiche per i giovani sono cronicamente carenti in Italia e la protezione sociale è particolarmente bassa. Per fare solo semplici esempi si può ricordare che mancano o sono scarsi in tutte le città italiane gli spazi di aggregazione o quelli attrezzati per sane attività ludiche, ricreative o formative perché la spesa pubblica a ciò destinata è quasi inesistente.
      Anche la classe politica italiana è sempre più anziana: l'attuale Parlamento è il
 

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più vecchio della storia repubblicana in termini di età anagrafica dei suoi componenti. Nell'intero Parlamento, considerando che per essere eletti senatori bisogna aver compiuto quarant'anni, ci sono solo 49 parlamentari al di sotto dei quarant'anni sui complessivi 945 - appena più del 5 per cento - mentre gli ultrasessantenni sono quasi il 30 per cento. Un solo parlamentare ha meno di trent'anni.
      Se poi si guarda alle più alte cariche dello Stato si nota con sconforto che tutti hanno da un pezzo superato il mezzo secolo di vita, mentre in altri Paesi è pressoché normale che diventino capi di Governo quarantenni, basti ricordare Tony Blair, divenuto Primo Ministro del Regno Unito a quarantaquattro anni o José Luis Rodríguez Zapatero, divenuto Primo Ministro della Spagna anch'egli a quarantaquattro anni o, infine, Bill Clinton, eletto Presidente degli Stati Uniti d'America a quarantasette anni. Nel quadro della crisi della politica italiana anche questo appare innegabilmente un dato da analizzare attentamente, anche per verificare, senza preconcetti, se sia vero che i giovani sono disinteressati alla politica, come in maniera retorica tanti ripetono, o se, invece, non sia vero il contrario, come è da presumere visti i dati considerati, cioè che non viene lasciato spazio ai giovani in politica (dato rilevato e confermato nel Regno Unito dalle ricerche lì condotte e sopra richiamate) e non vengono attuate vere e concrete politiche giovanili.
      L'estensione del diritto di voto ai sedicenni e ai diciassettenni consente quantomeno di dare più rilevanza al voto dei giovani e, c'è da presumere, per i giovani. Attualmente il loro peso elettorale equivale a quello degli ultraottantacinquenni. Ci si può chiedere perché nelle decisioni di chi è chiamato a responsabilità di governo gli ultraottantenni contino più dei sedicenni e dei diciassettenni; tanto più che da qui al 2035 il peso dei primi è destinato comunque a diventare triplo rispetto a quello dei secondi, stando l'attuale tasso di crescita dell'invecchiamento della popolazione italiana e le aumentate prospettive di vita.
      I numeri citati sull'invecchiamento della popolazione e sulla rappresentanza per fasce anagrafiche rappresentano valide basi su cui impiantare le significative ragioni per estendere il diritto di voto ai sedicenni.
      I dati riferiti all'anno scolastico 2004-2005 dicono che sono 8.872.546 gli studenti italiani. Rispetto agli anni precedenti continuano ad aumentare gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado. Infatti, se il tasso di scolarità è intorno al 100 per cento nelle scuole d'infanzia, elementari e medie, nella scuola secondaria superiore è in continuo aumento essendo passato dall'87,6 per cento nel 2000-2001 al 92,2 per cento nel 2006 (dati ISTAT). L'aumento della scolarizzazione ha prodotto, nel corso degli anni, un costante innalzamento del livello di istruzione della popolazione italiana: la quota di persone con qualifica o diploma di scuola superiore è ormai pari al 31,9 per cento. I dati sulla scolarizzazione, in particolare quelli relativi alla scuola secondaria di secondo grado, rivelano che il tessuto sociale dei giovani italiani è composto nella stragrande maggioranza da soggetti con un livello di scolarizzazione che non ha precedenti nella storia italiana. A questi dati è fondamentale aggiungere anche il livello di competenze tecnologiche ed informatiche che i giovani italiani hanno raggiunto: nel 2006 il 41,4 per cento della popolazione di età maggiore ai tre anni utilizzava il personal computer e il 34,1 per cento della popolazione di età maggiore ai sei anni si collegava ad internet. L'uso del personal computer, che coinvolge soprattutto i giovani, tocca il livello massimo nella fascia di età tra i quindici e i diciassette anni (79,7 per cento).
      Il livello di istruzione e la capacità critica dei giovani italiani sono molto elevati. Non va trascurato che la nostra è l'età dell'informazione e che in qualunque posto ci si trovi si è bombardati, anche se non lo si vuole, da milioni di notizie. In qualunque momento della giornata i mass media - giornali, televisione, internet e finanche la telefonia cellulare - raggiungono tutti e in special modo i giovani, che vivono immersi nell'informazione.
      Ecco quindi che ci sono tutti gli elementi per giustificare l'abbassamento della maggiore età da diciotto a sedici anni: da un lato, vi è una fascia di popolazione che possiede tutti gli strumenti per poter decidere
 

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in piena responsabilità della propria vita e partecipare consapevolmente alle scelte politiche del Paese, dall'altro, vi è la democrazia che richiede come fattore ineluttabile del suo rafforzamento e del suo sviluppo l'estensione del fondamentale diritto politico dell'esercizio del voto ai cittadini più giovani.
      Non va trascurato, peraltro, che l'individuazione di un'età alla quale si diventa maggiorenni o si acquista il diritto di voto rappresenta una scelta convenzionale. Le ragioni che invece sono opposte a un suo abbassamento a sedici anni non hanno forza e ricalcano quelle che erano opposte pochi decenni fa per osteggiare l'estensione del diritto di voto alle donne e agli analfabeti.
      I dubbi di alcuni sono incentrati sulla considerazione, retorica e apodittica, che ai giovani manca la consapevolezza politica, perché si vuole sostenere che i nostri giovani sono deresponsabilizzati, non maturi e possibili facili vittime di politici affabulatori alla ricerca di voti facili. Non è però possibile ritenere, per esempio, che nella democrazia italiana il voto basato su internet, forse più «ideologico», dei giovani debba pesare di meno di quello basato sulla televisione di un ottancinquenne.
      La voglia dei giovani che hanno compiuto sedici anni di partecipare alla vita politica è tanta, come, per esempio, dimostrano i dati della ricerca dell'Osservatorio sui diritti dei minori di Milano, sopra richiamati, ed è fondato solo su impressioni personali l'argomento, spesso usato, che i sedicenni non sarebbero interessati alla vita politica.
      La realtà ci mostra che molto spesso i giovani tra i sedici e i diciotto anni sono considerati più interessanti per le indagini sociologiche sul presunto disagio giovanile, che non come cittadini, quasi si volesse mantenerli artificiosamente in una posizione di inferiorità, come in passato è già accaduto con le donne, angeli del focolare, o con i cittadini senza istruzione.
      A tale proposito, ripensando a quello che è accaduto nel Regno Unito e che si è ripetuto in Spagna, bisogna che il Parlamento provveda con urgenza all'approvazione di idonei percorsi e insegnamenti scolastici che accompagnino e stimolino lo sviluppo della consapevolezza e della maturazione nei confronti delle istituzioni e della politica. La scuola, in particolare quella pubblica, rimane fondamentale perché maturi una classe di cittadini formata alla cittadinanza attiva, capace di risollevare le sorti del nostro Paese, che assiste ad una crisi politica assai grave. In questo senso l'introduzione negli anni cinquanta dell'insegnamento dell'educazione civica nei programmi scolastici aveva indicato una forma concreta per assolvere alla funzione di aiutare l'esercizio consapevole della sovranità popolare. Per vari motivi, tuttavia, tale insegnamento non ha avuto gli esiti sperati: in particolare, ha nuociuto l'assenza di un sua collocazione autonoma nei programmi e di una specifica preparazione professionale dei docenti. Ora è urgente, invece, l'introduzione di un nuovo insegnamento che prepari alla cultura civica, inteso a favorire quella consapevole partecipazione dei giovani alla vita civile e democratica, a promuovere lo spirito di solidarietà, la comprensione delle esigenze di una società sempre più pluralistica e il valore delle diversità, a diffondere la convinzione che i diritti umani e la democrazia non sono mai conquiste acquisite una volta per tutte, ma rappresentano gli esiti di una storia tormentata e sono sempre a rischio di essere rimessi in discussione. Per tale insegnamento servono tempi e metodi adeguati, nonché una preparazione idonea degli insegnanti, in rapporto ai diversi gradi e ordini di scuola.
      Raccogliere la sfida delle giovani generazioni è anche creare un legame forte tra giovani e istituzioni, con un rinvigorimento della classe politica, ne siamo certi, che avvicinerebbe concretamente il futuro al presente. È una sfida che la democrazia italiana vuole cogliere.
 

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